Aspetti mitologici e antropologici delle donne condannate dall’Inquisizione. Una conferenza con suggestioni letterarie e teatrali.
Sotto la dicitura “strega”
C’erano anche le dominae herbarum (le erboriste), donne sapienti che conoscevano l’uso di piante risanatrici, ma anche le ostetriche, le segnatrici, le aggiustaossa, le indovine.
L’immagine antica della strega richiama alcuni tratti di Medea, Circe, Ecate, Angizia, Bona Dea, Medusa, Meti: divinità femminili che prima di essere demonizzate erano tutte declinazioni dell’antica Potnia polypharmakos (Dea Madre conoscitrice di rimedi).
Andremo a vedere cosa si cela dietro alcuni luoghi comune legati all’immagine della strega (il cappello a punta, il calderone, il gatto nero, la scopa…) con un approfondimento sulle piante e sugli alberi magici legati alle donne guaritrici. Indagheremo le cause sociologiche (nel passaggio dal Medioevo al Rinascimento) che hanno portato al più grande “ginocidio” della storia, relazionandoci con l’attualità della questione dell’autodeterminazione del corpo femminile.
La conferenza verrà arricchita da incursioni teatrali tratte dal racconto “Herbarie: colpevoli di meraviglia”, testo vincitore della terza edizione del premio “Streghe di Montecchio”, dallo spettacolo “Herbarie: le chiamavano streghe” e da letture selezionate.
“Siamo la nerezza e il silenzio della storia, di un tempo “passato”, così dicono. La saggezza era solo nelle nostre mani, non c’era inchiostro che potesse contenerla. Ci scambiavamo segreti e incantesimi per fare del corpo la pianta più bella da accudire. La medicina che passava per lenostre mani ci venne rubata, o resa superstizione. Il corpo che tanto abbiamo lodato ci venne tolto e reso estraneo, divenne merce e fabbrica di nuovi uomini. Siamo state così tanto abituate ad abbassare la testa che per anni non sapevamo più di quanti colori era fatto il cielo. Guarda il modo in cui nasci e in cui muori: in questi due momenti, la civiltà. Questa è la storia di quei fili ribelli che volevano tessere una nuova realtà. E sono rimasti lì appesi, sbiaditi, in cerca di ricordo. Ricordatevi di noi, e potremo andare nel luogo dove è lecito dimenticare”.
Dallo spettacolo teatrale “Herbarie: le chiamavano streghe” di Silvia Pietrovanni
Studia le piante da oltre 15 anni; si è formata presso la scuola per fitopreparatori di Roma, specializzandosi in cosmesi naturale. Poi sono arrivati altri “innamoramenti” connessi alle erbe come i Fiori di Bach, i fiori Australiani, l’aromaterapia e la creazione di profumi, la spagirica, le erbe nella medicina antroposofica, i miti vegetali, la storia delle streghe erboriste ecc., tutti argomenti che ha approfondito sia frequentando corsi che in modo personale. Nel trasmettere l’amore verso le erbe ha adottato una personale modalità di lezione che prevede teoria e pratica: durante la pratica vengono letti monologhi ispirati alle piante affinché le erbe possano essere viste non solo come contenitori di principi attivi ma anche come delle vere e proprie divinità, capaci di trasformarti semplicemente maneggiandole. Ha scritto ben due spettacoli teatrali sul tema: il primo, “HERBARIE: LE CHIAMAVANO STREGHE” dopo aver girato per anni con una compagnia amatoriale, è stato riscritto e consegnato ad Argilla Teatri, debuttando nella sua nuova veste nell’aprile del 2019. È inoltre autrice del testo “LE VOCI DELLE PIANTE”: monologhi sui miti vegetali ispirati dalle Metamorfosi di Ovidio ma riadattati da Silvia Pietrovanni per veicolare un messaggio profondo di trasformazione interiore connesso anche alle proprietà e alla storia mitologica della pianta.
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